#iorestoincomunità

Dopo i primi giorni di “incredulità” in cui abbiamo vissuto come in una sorta di bolla per capire cosa stesse succedendo e perchè fosse importante far proprio il motto #iorestoacasa, prontamente rielaborato in #iorestoincomunità, c’è stata una profonda riorganizzazione delle giornate in comunità e del lavoro delle educatrici. Pian piano abbiamo attivato le videolezioni e la formazione a distanza, abbiamo provato a creare le “postazioni compiti” per garantire la necessaria pace e concentrazione, ci siamo improvvisate insegnanti di italiano per le minori straniere,  abbiamo impostato calendari delle attività, laboratori di cucina, cineforum, laboratori di creatività, giardinaggio, produzione di candele per il mercatino della festa di Cooperativa, lezioni di danza afro, danzamovimento, pomeriggi di gioco spensierato, grigliate, riunioni e merende in terrazzo…

E ci siamo inevitabilmente scontrate con le difficoltà di garantire una connessione adeguata a tutte le ragazze, la carenza di supporti tecnologici, la difficoltà a reperire il materiale utile per i nostri laboratori, la carenza di DPI (dispositivi di protezione individuale) estremamente necessari per continuare a lavorare senza il timore di essere possibile veicolo di contagio per le nostre ragazze, la difficoltà a fare la spesa e a reperire tutto ciò di cui abbiamo bisogno per rispettare il menù settimanale…

Queste difficoltà potevano bloccarci, invece sono state da stimolo per reinventarci e migliorarci per le nostre ragazze. Ed ecco che siamo diventate esperte di piattaforme digitali, abbiamo creato account e condiviso i dati dei nostri cellulari personali. Siamo diventate maestre degli incastri passando dall’ impostare le videochiamate con familari e servizi sociali alternate ad arte con gli impegni scolastici, al variare il menu della cena aggiustandosi con quello che c’è in casa; siamo diventate “esploratrici” delle capacità personali proprie e altrui, scoprendo in primis in noi delle nuove abilità (curare dei fiori con successo, danzare, fare una torta senza troppi intoppi) e aiutando le ragazze a vedersi capaci nelle attività proposte. Siamo diventate “ambasciatrici” di solidarietà, ognuna mettendo in campo le proprie risorse per essere di supporto alla comunità (chi si è attivata cucendo le prime mascherine, chi esce dal turno dicendo “vado a fare spesa per casa, dimmi cosa manca che provo a cercarlo”, chi ha dato fondo alle proprie scorte personali di matite e pennarelli); siamo diventate abili strateghe nell’organizzare i turni dei pasti in modo da avere maggiore distanziamento sociale; siamo diventate interior designer per riorganizzare la disposizione dei mobili in alcune stanze e subito dopo traslocatrici provette per realizzare tutto ciò che avevamo ipotizzato.

Siamo diventate “tante cose” e ne diventeremo ancora tante altre, ma non abbiamo perso la nostra essenza: l’educatrice c’è, consola senza poter abbracciare, diverte condividendo i video stupidi visti la sera prima, pulisce e disinfetta mille volte al giorno, fa lavatrici, aiuta a parlare con le famiglie e a superare le difficoltà del non potersi incontrare, ripete allo sfinimento “mantenete la distanza per favore”, si scatena in sfide estenuanti all’Xbox, fa le coccole prima di dormire, fisicamente distante, ma vicina con il cuore… e ogni tanto si allontana un po’ dalle ragazze, sgancia la mascherina per riprendere fiato e per far vedere loro un bel sorriso, ma anche la stanchezza, lo sconforto, la paura, perchè questa emergenza sanitaria ci mette tutti allo stesso livello. Abbiamo tutti paura, siamo tutti stanchi della reclusione, siamo tutti tristi perchè abbiamo dei familiari lontani da noi… l’educatrice per la prima volta vive le stesse identiche situazioni ed emozioni delle ragazze, e loro lo riconoscono, e ti sentono davvero vicina, vicina come non lo sei mai stata!